Il cronista Pietro Comito, trai più conosciuti in Calabria, ha denunciato e ora racconta: «È stata dura lavorare in quella redazione, era difficile ribellarsi». Il collega ha riferito di «orari falsamente ridotti sulla carta»
VIBO VALENTIA Giornalisti spiati dall’editore. Microcamere e microfoni direzionali orientati sulle scrivanie per carpire dialoghi e conversazioni a chi per mestiere ha l’obbligo di informare. I giornalisti di LaC network calabrese gestito dalla società Diemmecom, con sede a Vibo Valentia, erano costretti a rinchiudersi nei bagni o, uscire all’aperto, per discutere tra loro di notizie che la direzione della televisione avrebbe potuto censurare o di altre questioni che ritenevano delicate. A finire indagati nell’ambito dell’inchiesta avviata dalla procura della Repubblica di Vibo e condotta dalla Polizia di Stato, sono l’amministratore unico Domenico Maduli e il direttore generale della società editoriale Maria Grazia Falduto. Dovranno rispondere di indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato e di installazioni di apparecchiature atte ad intercettare comunicazioni tra altre persone.
Ancora da chiarire al meglio, da parte degli inquirenti, il contesto in cui sarebbe avvenuto lo «spionaggio» ai danni della redazione: LaCnews24.it
La sede della televisione e della società sono state perquisite e sono stati sequestrate tutte le apparecchiature di videosorveglianza e archiviazione dati. L’inchiesta della procura vibonese ha avuto inizio dopo le denunce di due giornalisti Pietro Comito e Agostino Pantano, più altri due colleghi che hanno rassegnato le dimissioni perché «non sopportavano più di lavorare in un ambiente che si era fatto pesante e tossico». In particolare Pantano ha anche denunciato la circostanza secondo la quale è stato costretto a lavorare «full time» nonostante il suo contratto di lavoro risultasse essere part-time a 28 ore totali. «Ho lavorato nel periodo del Covid e per tutti i mesi della pandemia – spiega l’ex cronista di Lac – anche quando risultavo in cassa integrazione, senza riduzione di orario».
Nella denuncia Pantano dice, inoltre, che «l’azienda ha falsamente ridotto l’orario di lavoro del 30%, ottenendo così un vantaggio e un beneficio economico a carico della comunità mancando di corrispondere parte del salario coperto dall’ammortizzatore sociale che invece incassava il datore di lavoro». Per il solo caso Pantano la cifra sequestrata all’azienda televisiva su disposizione del giudice dell’udienza preliminare è di 26.300 euro. I poliziotti della Digos, Squadra Mobile e divisione Anticrimine, hanno verificato attraverso l’analisi della documentazione acquisita negli uffici dell’Inps le dichiarazioni di giornalisti e dipendenti, accertando come l’editore avesse effettivamente posto in essere una contrazione non veritiera dell’orario di lavoro; così facendo avrebbe conseguito un indebito risparmio di spesa equivalente al mancato pagamento della parte di salario coperta dall’ammortizzatore sociale, corrisposta direttamente dall’Inps ai lavoratori e non da datore di lavoro.
Quello che più stupisce in questa indagine è come venivano trattati i giornalisti de LaC. «Eravamo tutti vittime – spiega Pietro Comito – tra i più conosciuti cronisti calabresi -. Per anni non ci siamo ribellati per salvaguardare il nostro posto di lavoro ma, è stata una sopportazione, che mi ha lasciato il segno. È stata una fatica enorme resistere ma, alla fine, non ne potevo più di essere costantemente spiato».
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