Sì, quest’anno al corteo delle donne contro la violenza sessuale a Roma – un corteo affollato e ricco di contenuti – le ragioni per protestare erano ancora più forti di sempre. Le improvvide dichiarazioni del ministro Giuseppe Valditarta, che di stupro probabilmente non sa o non vuole sapere nulla, hanno fatto arrabbiare le donne, che ne hanno quotidiana esperienza, personale o no. Sono le donne ad essere stuprate o molestate, come dice una scritta su un muro francese: “Pas tous les hommes mais que des hommes”, non tutti gli uomini, ma solo uomini sono stupratori.
E dunque, sentire le frasi del ministro, che parlava in quanto ministro, non durante un’intervista qualunque, discettando di un patriarcato sparito e accusando i migranti stranieri invece dei padri, dei fratelli, dei mariti che sono solitamente gli autori delle violenze, è diventato insopportabile. Per di più perché quelle frasi sono state pronunciate di fronte al padre e alla sorella di Giulia Cecchetin, uccisa in modo efferato dal suo fidanzato italiano e bianco, tanto un bravo ragazzo.
Il patriarcato negato, ma che è così potente
Le piazze di Roma, di Milan, di Palermo hanno dunque detto la loro: «Siamo il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce». E il patriarcato esiste, è molto potente. Anche se, come decenni fa avveniva per la mafia, viene negato.
Sì, è stata bruciata l’immagine del ministro, in piazza. E’ grave quel che ha detto, è grave non l’abbia corretto, è grave che il Presidente del Consiglio non abbia preso le distanze da quelle dichiarazioni. E’ grave che ogni anno si debba tornare su un dibattito stantio, in cui le colpe delle violenze sono prima di tutto sulle donne e solo poi sugli stupratori.
E’ grave che ci sia un’area grigia di giustificazionismo attorno agli autori di episodi di violenza, quasi che picchiare una donna fosse un’intemperanza. Un’area grigia che mostra quando poco la condanna per le violenze sessuali, soprattutto per quelle in famiglia, sia diffusa.
Duole sottolineare che che non fa bene alla diffusione della condanna sociale della violenza contro le donne l’operazione fatta da diversi giornali, uno per tutti il Corriere della sera. Che in prima pagina ha titolato: “Le donne in piazza: basta con il patriarcato. Bruciata una foto di Valditara, è polemica”.
La violenza sulle donne e la foto bruciata
Una foto bruciata in prima pagina, signora mia che scandalo. Non sarà bello bruciare una foto in piazza, ma è meglio che chiudere gli occhi davanti alla sfferenza, al dolore e alla morte di tante donne. E’ così che si allarga il solco tra chi protesta e chi non si degna nemmeno di documentarsi prima di parlare. Chi conosce il fenomeno di prima mano, come il presidente del tribunale di Milano Fabio Roia, lo dice chiaro: “Non sono gli immigrati che creano il problema della violenza sulle donne, il problema della violenza di genere è storico, strutturale e sociale”. E il sostituto procuratore di Milano, Rosaria Stagnaro, ricorda: la violenza di genere è prossima, è familiare, e vicina; non può essere delimitata e quindi appiccicata come una etichetta deteriore ai confini della società. In questi anni in cui mi sono occupata principalmente di violenza di genere io non ho incontrato mostri; ho incontrato padri, fratelli, nonni, fidanzati”.
Chi fa violenza vuole cancellare l’identità e la presenza della donna. Dunque deve cambiare il linguaggio, quello degli atti giudiziari ma anche quello dei giornali. Persino quelli che intendono condannare le violenze. Ma che sbattono in prima pagina una foto bruciata. E’ diventato un reato, di questi tempi?
La vicenda di Gisèle Pelicot
Quasi cento femminicidi nel 2024. Non è un’emergenza, ma la normalità: di fronte a questi numeri, non c’è che arrendersi o combattere. Ricordando, ancora e ancora, che una violenza è un crimine, non una dimostrazione di amore. E il bisogno di possesso non è segno di affetto.
Fa molto discutere in Francia la vicenda di Gisèle Pelicot, per 50 anni drogata e esposta incosciente a stupri di sconosciuti registrati in video conservati dal marito. Una storia di provincia quasi surreale, che ora sta arrivando in tribunale. Lei, infatti ha denunciato il marito e cinquanta degli approfittatori. Che si sono meravigliati dell’accusa: ma se il marito me l’offriva, perché avrei dovuto dire di no? Un processo a porte aperte: Gisèle ha rinunciato al suo diritto alla privacy perché, ha detto, una donna che viene violentata si vergogna. Ma a vergognarsi dovrebbe essere chi la violenta.
Giusto. Smontare modelli tossici, violenti e prevaricatori, questo bisognerebbe fare, altro che dichiarare il patriarcato estinto. Smontare il possesso indiscusso. Aiutare la famiglia che non sa educare e proteggere. Supportare la scuola dove l’educazione al consenso e all’affettività è ancora ostacolata, come se non fosse importante insegnare a dire sì e a dire no, soprattutto ai giovani. Gli adulti di domani.
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