CASARANO (Lecce) – Il delitto prima delle manette. Perchè il suo nome compariva con un ruolo apicale nell’operazione antimafia “Fortezza” messa a segno solo qualche giorno dopo. Le pistolettate arrivarono prima del carcere. Chiuse le indagini sull’omicidio di Antonio Amin Afendi, il presunto capo clan di Casarano, ucciso la mattina del 2 marzo scorso con tre colpi di pistola tra via Lupo e Piazzetta Petracca, nella cittadina salentina. Davanti a tanti bambini e famiglie in giro a quell’ora. Nell’avviso di conclusione, che arreca la doppia firma della pm della Dda Giovanna Cannarile e della collega della procura ordinaria, Rosaria Petrolo, compare il nome dell’assassino reo confesso: Lucio Sarcinella, 28 anni di Casarano. Stralciata, invece, la posizione di una seconda persona, indicato come il presunto complice nell’immediatezza delle indagini e che si trovava in macchina insieme all’assassino: A.S., di un anno più piccolo, residente sempre a Casarano. Probabile, a questo punto, che il procedimento a suo carico venga archiviato. Sotto inchiesta, invece, è finita la compagna di quest’ultimo: M.S., 21enne, di origini albanesi e residente sempre nel comune sud salentino. Favoreggiamento, l’accusa: sentita a sommarie informazioni nel corso delle indagini riferì ai carabinieri di non conoscere Sarcinella e la sua compagna e di non sapere neppure che il suo fidanzato fosse amico dell’assassino.
A.S, raccontò la donna, dormì con lei fino alla tarda mattinata di quel 2 marzo, sebbene – accertarono gli investigatori – fosse uscito da casa molto prima. Per Sarcinella, oltre alle accuse di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e detenzione di arma da fuoco, viene contestata anche un’altra accusa (furto aggravato) emersa in questi mesi. Agli inizi di novembre, infatti, l’assassino ha chiesto ed ottenuto di essere sentito dagli inquirenti: in carcere, davanti alla pm della Dda Giovanna Cannarile, ha confessato che l’arma utilizzata per compiere l’omicidio, una revolver, calibro 357 Magnum, non era stata prelevata da una campagna sulla via per Taurisano come dichiarato subito dopo il suo arresto ma era parte di un bottino molto più ampio che comprendeva altre armi rubate il 13 agosto del 2023 da un’abitazione di Ruffano con la complicità di due altri individui mai identificati.
Da un armadietto metallico, sparì un vero e proprio arsenale: una carabina modello Remington, un fucile Berettta calibro 16, un fucile semiautomatico Franchi, calibro 12, una carabina Anschutz, calibro 22, un fucile retrocarica, calibro 16, una pistola Glisenti, calibro 10,35, una Berettta calibro 22, e una monocanna Beretta, calibro 24. Che fine ha fatto tutta quella santabarbara? E’ uno degli aspetti su cui nell’avviso non si fa riferimento. Chiari, invece, dinamica e movente del delitto. L’omicida, quel giorno, accecato dalla rabbia dopo l’ennesima intimidazione subìta dalla moglie per strada, decise di eliminare Afendi. Da tempo lui, la coniuge e la sua famiglia (il suocero, tempo prima, era stato accoltellato per questioni di viabilità) erano oggetto di minacce da parte del 32enne di origini marocchine. E Sarcinella decise di compiere un’azione eclatante.
Armato di pistola e, nonostante il suo amico cercasse di convincerlo dal desistere, raggiunse Afendi esplodendogli tre colpi di pistola. Petto, addome, collo come accertato dall’autopsia. E l’’Immortale”, un appellativo che si era guadagnato dopo essere sfuggito miracolosamente ad un primo agguato nell’ottobre del 2019 a colpi di kalashnikov, cadde per terra senza più rialzarsi. Sarcinella inviò subito un messaggio alla moglie per informarla di quello che aveva combinato. E venne arrestato poche ore dopo dai carabinieri che, nel frattempo, avevano acquisito le immagini delle telecamere di videosorveglianza risalendo all’identità dell’assassino. Una volta accompagnato in caserma, confessò l’omicidio escludendo di aver programmato il delitto: “Ho commesso quest’azione perché esasperato e convinto che se mi fossi rivolto alle forze dell’ordine non sarebbe cambiato nulla”. Da mesi è in carcere. A difenderlo, gli avvocati Simone Viva e Giuseppe Presicce; M.S., invece, da Americo Barba.
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