In Campania per ora si salva solo l’edilizia. Ma senza incentivi si precipita nella crisi: disoccupazione, migrazione giovanile e spesa delle famiglie raccontano il vero gap
Per il secondo anno consecutivo il Sud cresce più del Nord, ma il divario non diminuisce. Emerge questo dal Rapporto Svimez 2024 presentato ieri a Roma. «Il Nord — ha spiegato il presidente Svimez, Adriano Giannola — è relativamente più in crisi del Sud, ma la prospettiva è pesante per tutti e la legge Calderoli rappresentava la fuga del Settentrione per risolvere la sua crisi. Tuttavia è un’illusione, un suicidio».
Il trend
I dati sulla variazione del Pil di ogni regione dal 2019 ad oggi mostrano come il Sud sia cresciuto (+3,7%) in linea con il resto del Paese (+3,4%), riuscendo a riportarsi a livelli che farebbero ben sperare per il futuro. Se si analizzano le componenti di questo trend positivo si nota, però, che il peso dei contributi pubblici è ancora fondamentale per la tenuta del tessuto economico meridionale e che senza politiche espansive non c’è alcuna possibilità di rendere questa crescita realmente strutturale. Per capire se l’espansione dell’economia meridionale può davvero portare ad una riduzione del divario territoriale, analizzare i dati della Campania è cruciale perché la regione, per dimensione, struttura sociale, economica e demografica, è il caso studio per eccellenza.
La ricchezza regionale
Il Pil campano è, infatti, nel Mezzogiorno, quello ad aver fatto registrare la crescita più continua (+4,9%) e meno altalenante e può essere dunque più valido per capire le dinamiche di lungo periodo. Dai dati della nostra regione si può capire anche quanto vale il pubblico all’interno del trend di crescita. Tra il 2019 e il 2023 a trainare il Pil campano è, quasi esclusivamente, il settore delle costruzioni che ha fatto registrare il record del +42,4%, nettamente superiore a quello del Nord, fermo sotto il 27%. Gli altri settori crescono poco o nulla restando nella nostra regione quasi un decimo o un ventesimo di quello dell’edilizia. Se poi si mette questo comparto a confronto con le altre realtà che creano il valore aggiunto campano, si scopre che il rapporto è del tutto sfavorito. Se infatti l’agricoltura cresce solo di 7 punti, perdendo nel 2023 l’1,3%, fanno ancora peggio l’industria (-0,7% nel 2023 e solo +2,3% dal 2019) e i servizi (-1,8%; +3,6%). La differenza tra i vari settori campani si spiega con il valore degli investimenti pubblici che per il comparto delle costruzioni fa registrare un dato del +97% rispetto al 2019, più di tre volte superiore a quello del Centro-Nord (+28,3%). La crescita dell’edilizia campana è dunque sostenuta, se non addirittura dopata, dalla spesa pubblica che, attraverso il Superbonus e le altre agevolazioni, ha indirizzato e spinto il mercato. A questo va aggiunto il beneficio derivante dal Pnrr che, seppure limitato fino alla fine del 2022 a causa dei ritardi e delle lungaggini burocratiche, oggi inizia a produrre risultati concreti attraverso l’apertura dei cantieri. La stessa dinamica, di una crescita che gode di investimenti pubblici, la si può rilevare anche analizzando la domanda che mostra nel concreto come la ricchezza dei campani non sia aumentata nonostante un Pil in espansione.
Le famiglie
La spesa delle famiglie è cresciuta in Campania solo dello 0,8%, la più bassa d’Italia. A sostenere la domanda non è dunque un mercato interno regionale, ma le esportazioni che crescono dell’80% e la spesa delle pubbliche amministrazioni.
Il lavoro
Anche sull’occupazione il ragionamento è speculare. Se infatti in Campania dal 2019 ad oggi gli occupati sono aumentati del 3,6%, è l’edilizia a fare da traino con +10,8%; mentre relativo è l’apporto dei servizi (+3,8%) e dell’industria (+1,7%); e addirittura negativo quello dell’agricoltura (-4,5%).
I divari
In Campania è anche più evidente il gender gap essendo la regione dove la percentuale di donne tra i nuovi occupati è la più bassa del Paese (1,5%). Nonostante la crescita degli occupati la nostra resta la regione con il più alto tasso di disoccupazione del Paese (17%), che quasi triplica tra i giovani (46,2%). Anche i livelli di precarietà del lavoro restano i più alti e la Campania si conferma il territorio europeo con il più alto numero di woorkingpoor, lavoratori che restano sotto la soglia di povertà. Sono questi fattori ad incidere anche sulla demografia, facendo registrare il più alto numero di emigrati (35 mila) e il terzo tasso migratorio italiano. Dunque il Pil cresce ma i campani sono ancora costretti ad emigrare, a lavorare con salari bassi e a fare i conti con un tessuto sociale ed economico lontano dagli standard europei.
La fuga
Nel 2050, il Paese perderà 4,5 milioni di abitanti e l’82 % della perdita interesserà il Sud con -3,6 milioni. Il dato di prospettiva viene confermato da Svimez. Non solo spopolamento, ma ci sarà una progressiva scomparsa di giovani nel Mezzogiorno: area che perderà 813 mila under 15, quasi un terzo di quelli attuali (-32,1 per cento), mentre gli anziani con più di 65 anni aumenteranno di 1,3 milioni (+29 per cento). Un trend demografico avverso che avrà un forte impatto sul numero degli iscritti nelle scuole italiane. Al 2035, la riduzione di studenti è stimata al -21,3 per cento nel Mezzogiorno (-18 per cento nelle regioni settentrionali). Per la scuola primaria, il rischio chiusura è concreto in tremila comuni con meno di 125 bambini, numero sufficiente per una sola «piccola scuola»: il 38 per cento del totale dei comuni (quota che sale al 46 per cento nel Mezzogiorno), localizzati soprattutto nelle aree interne. Il contrasto al gelo demografico necessita di politiche di lungo periodo orientate al rafforzamento del welfare familiare, degli strumenti di conciliazione dei tempi di vita-lavoro, dell’offerta dei servizi per l’infanzia, dei sostegni effettivi ai redditi e alla genitorialità.
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